LEONARDO
NAPPI……..UNA STORIA 3 PUNTATA
A quel tempo
si usava per le famiglie nazional popolari,nel periodo estivo fino
All’età di
dieci anni andare ai campi solari in concreto si passava la mattina
all’oratorio tra giochi e piccoli lavori di manutenzione che il “curato” Don
Dietrich
Ci proponeva
e poi alla mensa dalle suore e al pomeriggio si andava in bus alla spiaggia di
Natarella .Si faceva il bagno dopo la
merenda consisteva in un fruttino della ditta” Arrigoni sempre di prugne” ed un panino e alle 18
circa dopo essere stati trasferiti all’oratorio si ritornava a casa.
Ma noi
eravamo 4 figli di cui 3 maschi ed una
femmina,la preoccupazione di mio padre dopo gli undici anni era cosa avremmo
fatto nella pausa estiva .Non gli piaceva il fatto che avremmo passato il tempo
a giocare in strada come facevamo d’abitudine .Anche perché mio padre lavorando
sui rimorchiatori lavorava giorno e notte non lo vedevamo quasi mai Con
l’alternarsi delle stagioni l’alternarsi dei giochi come se ci fossero delle
cadenze forse più dettate dal meteo che dalle regole: le biglie,le figurine,le
frecce ecc
C’era
l’abitudine nella nostra “classe sociale” di andare a bottega insomma a fare i
“garzunetti”.Era un occupazione diciamo così di educazione al lavoro,poco o non
remunerata affatto .. in fastidiù disgevan i artigiai…..E siccome correva voce
fra noi ragazzi che un lavoro di bottega dava prestigio,la ricerca prima che le
scuole finissero si faceva a tabula rasa. Mio padre condivideva quella scelta
avrebbe tenuto in parte…….
fuori da
quelle “tentazioni del tempo” a sentirle oggi farebbero ridere .Tantè è
che se non
riuscivi a piazzarti subito era un guaio trovare chi ti potesse prendere a
bottega considerato poi che non era “legale”……. ma era molto tollerato.
Mio fratello
trovò una “sistemazione” da un corridore un ciclista insomma che aveva
cambiato
attività da bicicletta a “riparazioni di motorini” che avevano un mare di
problemi che non partivano mai.
io più
giovane di due anni non avevo chance. Allora mio padre conoscendo un amico la
cui sorella aveva un panificio in Via Giacchero a Savona mi raccomandò o meglio
lo pregò di prendermi a bottega.
Non ero
nuovo all’apprendistato “lavorativo” quando andavo in Puglia in vacanza durante
l’estate andavo a bottega da mio zio,all’epoca facevano le scarpe a mano
E io
raschiavo le suole prima di metterle a bagno e facevo piccole commissioni,e
mangiavo il melone Brindisino questo sì che mi piaceva anche fare.
Dopo questa
piccola esperienza” lavorativa” nel panificio mi ero trovato molto bene e l’anno successivo
mi riproposi,e poi giunto al momento della scelta mio padre mi chiese:
Vuoi
continuare a studiare??? o lavorare,non avevo nessun dubbio lavorare mi piaceva
di più era più…..bello ……mi sentivo importante.
Coloro che
lavoravano con me erano 3 persone,di cui un addetto ad infornare e cuocere ed
impastare,uno a foggiare il pane,ed uno che lo distribuiva nelle succursali.
Siccome
giovane di età io cominciavo alle tre e mezza mentre loro alle 2 di notte non
c’era riposo settimanale l’attività chiudeva 4 giorni all’anno i giorni legati
alle festività più importanti Pasqua ,Natale ,Capodanno,ferragosto ma si faceva
il pane doppio il giorno prima, insomma si recuperava in parte il lavoro.A natale mio fratello mi portava "à madiià da mangiare in un canovaccio con il fiocco si lavorava tutto il giorno c'erano i panettoni un tour de force pazzesco..
Il giovane
Leonardo,coadiuvava Paolo a foggiare il pane lui lo passava nella macchina ed
io glielo ripassavo,alcune pezzature passavano due volte nella “chifferatrice”
come le biove,e allora si procedeva in quella maniera,invece le rosette tutte
rigorosamente tornite a mano 700- 800 panini che poi venivano stampati.
Ma cosa mi
attirava di più era quella lunga palina di legno su cui si ponevano i panini
che poi con gesto veloce venivano scaricati sul suolo del forno e dovevano rimanere dritti e non capovolti
ecc(quando vedo infornare una pizza rivedo qualcosa,ma di molto più facile di
allora) .La palina era lunga circa 4 metri
larga 8 cm di legno di frassino molto sottile e flessibile e per caricarla poggiava sui cavalletti vicino
alla “cantia “dove il pane lievitato giaceva prima di essere cotto.
Il problema
era tirare su la palina carica che
fletteva per il peso infilarla nella camera del forno andare fino in fondo
scaricare……… non facile non facile.
Gigi che
era il fornaio che era il più vecchio
della brigata scendeva all’una ad accendere il forno il quale funzionava con i
trucioli che le falegnamerie producevano per la lavorazione del legno che
venivano raccolti ogni giorno dal porta pane,e poi in tempi successivi da me e
su questo argomento ci sarebbe da scrivere parecchio. Con enormi ceste ed un carretto
si faceva la raccolta tutti i giorni escluso la domenica e quindi andava
approvvigionata la riserva. La maggioranza dei forni “proletari” funzionavano a
trucioli e l’accaparamento a volte era
difficile ..gli altri avevano già i
bruciatori a gasolio
Gigi aveva
fatto la sfortunata campagna di Russia raccontava sempre delle” Katiuscia Russe”
che sibilavano sulla sua testa,e la tremenda ritirata,il freddo sofferto,e la sfortunata
storia della sua gioventù . Raccolto da una donna russa fu rifocillato oramai
giaceva nella neve privo di forze e alla fine della guerra torno in Italia
reduce da una terribile esperienza
salvato dal nemico…..
E allora
senza far vedere al titolare del panificio un giorno disse dai “leonardo “
vieni qui …. prese uno sgabello lo mise sotto i miei piedi e disse prova ad
infornare dai.
Non ci
potevo credere… quale soddisfazione
avrei potuto provare quello che i “grandi “ sanno fare lavorare…………
Il risultato:
1o panini rovesciati alcuni perfettamente in linea alcuni rimasti appiccicati
Alla
palina…….. Gigi mi guardò e sorrise vedrai… Leonardo che la prossima andrà
meglio .Mi sentii incoraggiato ma ancora di più emozionato per la prova di
fiducia
Paolo
silenzioso faceva la guardia che non entrasse il titolare nel forno che avrebbe
sgridato tutta la brigata ,e riprovai questa voglia andò un pochino meglio. E
così incominciai ad intraprendere un ruolo vero…..
Più
importante e tutto ciò mi faceva sentire “importante” e naturalmente imparai.
Tanto è vero
che al primo sciopero che ci fù feci il
“Crumiro” per necessità e andai a
lavorare .
Ad ..Infornare c’ero io …quel giovane ragazzo
che stava crescendo.
Tutto ciò
portò anche alla conseguenza che all’epoca
avevo 16 anni che gli impasti i
cosi detti
“lieviti o crescenti che venivano fatti
al pomeriggio che “toccavano” al più
giovane di
bottega passarono da Paolo a Leonardo e tutti i pomeriggi domeniche incluse
impastavo per la mattina ;focaccia,pane all’olio,e biga,qualche volta è
capitato di sbagliare e di non mettere
il lievito e al mattino dopo i Santi volavano erano sopra il mio capo……
Ma la cosa
che mi piaceva di più di questo lavoro oltre ai miei insegnanti erano le
attività “collaterali”.
A Savona
dove oggi c’è la piscina c’era una
fabbrica metalmeccanica LA SERVETTAZ BASEVI
ci lavoravano una marea di persone come in altre molteplici fabbriche di
cui Savona Industriale era costellata
all’epoca .
Al bordo di
questa fabbrica in prossimità del mare c’erano i stabilimenti balneari.
Ma la parte
verso la foce del torrente “Letimbro” era occupata da “baracche” in cui la
gente abitava sprovvisti di luce ed acqua,un fontanella venne posizionata un
paio di anni dopo,e poi fortunatamente tutte queste persone ebbero in dotazione
le case popolari dell’IN A casa a
MONGRIFONE c’erano anche pescatori di
origine Siciliana che svolgevano la loro attività di pesca al palamito o
parangaro.I Savonesi non svolgevano questo tipo di pesca. E vivevano anche loro
sulla spiaggia in queste baracche insomma casa e bottega . I Savonesi
chiamavano queste nuove costruzioni di
case popolari il villaggio mau mau.
Ebbene i
miei compagni di lavoro “au bord de la mer mediterranèe” avevano una
“Baracca” o
meglio un “cottage” si direbbe oggi tanto era carina con i suoi colori pastello.
Era originariamente una cabina di
comando tutta in legno di una piccola nave non più di 12 14 mq con tanto di
tettoia in canistri, verandina in legno su palafitte di legno sulla spiaggia
sotto il ricovero attrezzi della barca con cui si andava a pescare. Un posto
bellissimo e affascinante Heminguay ci avrebbe potuto fare uno studio e
scrivere tantissime bellissime storie.
Quante
bellissime partite a carte d’inverno al gioco dei Tarocchi…..
Ero
affascinato da quel posto che all’epoca non aveva nessun riscontro solo un
luogo in cui sostare a fare merende,il bagno e quant’altro. I miei genitori
sapevano che passavo molto tempo con queste persone ed erano rassicurati ma
anche un tantino gelosi del fatto che mi fossi tanto affezionato a loro.
Pochissime
persone frequentavano questo posto in
quanto non “omologato” ed il silenzio regnava assoluto,non si era ancora
sviluppato il turismo domenicale delle tende della Fiat in vacanza ad Agosto.
Ebbene in quel luogo per me incantato
dopo il lavoro nel forno andavamo a svolgere diverse attività e d’estate era
qualcosa di fantastico …… La pesca con le nasse,la pesca al bolentino,al
palamito,e poi la cosa
Più
redditizia si fa per dire vista la pochezza delle risorse dell’epoca la
raccolta delle cozze o peoci o muscoli.
Nella Via
dove il forno svolgeva la sua attività c’era un imprenditore che oltre al
negozio di ardesie aveva un ristorante a Spotorno credo…..non mi ricordo esattamente non ero
informato dovevo ascoltare soprattutto..
Avendo
saputo che Gigi e un suo amico si immergevano con maschera e boccaglio al tempo
non erano molti per raccogliere i muscoli dal pontile dell’ILVA per poter fare delle muscolate estive,chiese
se ne aveva da vendere.
Così
d’estate dopo il lavoro verso le undici di mattina mi imbarcavo con loro e “stando
sui remi” come si dice in gergo marinaresco li accompagnavo sul luogo della raccolta e
aspettavo. Durante il pomeriggio seduto sul bagnasciuga con un coltello li
pulivo dai denti di cane e poi li portavano a questo Signore. Capitava a volte
che le catture erano molto limitate e me li donavano come premio “partita” ed
io piccolo commerciante andavo dal ristorante le Palme che si trovava vicino al
prolungamento di Savona li proponevo allo chef proprietario.
Lo chef un
uomo molto gentile di origini Emiliane mi faceva entrare in quella cucina molto
linda e piena di profumi e scambiava volentieri qualche parola con me. All’epoca
era molto raro che gli adulti si fermassero a parlare con giovani ed io
apprezzavo ma apprezzavo molto di più quelle 300 -400 lire che mi dava per i
muscoli. Ma a quel tempo mai avrei pensato che quel luogo quegli ambienti mi
sarebbero divenuti così famigliari e avrebbero costruito il futuro della mia
vita .
Nessun commento:
Posta un commento