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martedì 28 marzo 2017

EPISODIO COMPLETO

LEONARDO NAPPI……..UNA STORIA 3 PUNTATA
A quel tempo dico io in quel tempo lo si dice per il Vangelo  si usava per le famiglie nazional popolari,nel periodo estivo fino
all’età di dieci anni andare ai campi solari in concreto si passava la mattina all’oratorio tra giochi e piccoli lavori di manutenzione che il “curato” Don Dietrich
Ci proponeva e poi alla mensa dalle suore mano a mano che raggiungevamo l’edificio in fila indiana in silenzio,il menù era percettibile già dal l’olfatto: o quel grande sapore di basilico ed era il minestrone,oppure quel profumo di sugo unico allora era era pasta.Chissà come mai le suore avevano la ricetta codificata dove cucinavano loro i profumi erano tutti uguali sembravano omologati dal “Vangelo”. E al pomeriggio si andava in bus alla spiaggia di "Natarella" .Si faceva il bagno dopo  la merenda consisteva in un fruttino della ditta” Arrigoni"  era sempre di prugne”sembrava non avessero altra frutta disponibile ed un panino.  Alle 18 circa dopo essere stati trasferiti all’oratorio  si ritornava a casa.
Ma noi eravamo 4 figli di cui 3 maschi ed  una femmina,la preoccupazione di mio padre dopo gli undici anni era cosa avremmo fatto nella pausa estiva .Non gli piaceva il fatto che avremmo passato il tempo a giocare in strada come facevamo d’abitudine .Anche perché mio padre lavorando sui rimorchiatori lavorava giorno e notte non lo vedevamo quasi mai Con l’alternarsi delle stagioni l’alternarsi dei giochi come se ci fossero delle cadenze forse più dettate dal meteo che dalle regole che i bambini si davano da soli : le biglie,le figurine,le frecce ecc
C’era l’abitudine nella nostra “classe sociale” di andare a bottega insomma a fare i “garzunetti”.Era un occupazione diciamo così di educazione al lavoro,poco o non remunerata affatto .. in fastidiù disgevan i artigiai…..E siccome correva voce fra noi ragazzi che un lavoro di bottega dava prestigio,la ricerca prima che le scuole finissero si faceva a tabula rasa. Mio padre condivideva quella scelta avrebbe tenuto in parte…….
fuori da quelle “tentazioni del tempo” a sentirle oggi farebbero ridere .Tantè  è
che se non riuscivi a piazzarti subito era un guaio trovare chi ti potesse prendere a bottega considerato poi che non era “legale”……. ma era molto tollerato.
Mio fratello trovò una “sistemazione” da un corridore un ciclista insomma che aveva
cambiato attività da bicicletta a “riparazioni di motorini” che avevano un mare di problemi che non partivano mai, lui poi non mi sembrava avesse attitudini speciali,anzi forse non ne aveva alcuna.
Io più giovane di due anni non avevo chance. Allora mio padre conoscendo un amico la cui sorella aveva un panificio in Via Giacchero  a Savona mi raccomandò o meglio lo pregò di prendermi a bottega.
Non ero nuovo all’apprendistato “lavorativo” quando andavo in Puglia in vacanza durante l’estate andavo a bottega da mio zio,all’epoca facevano le  scarpe a mano
E io raschiavo le suole prima di metterle a bagno e facevo piccole commissioni,e mangiavo il melone Brindisino questo sì che mi piaceva anche fare.
Dopo questa piccola esperienza” lavorativa” nel panificio  mi ero trovato molto bene e l’anno successivo mi riproposi,e poi giunto al momento della scelta mio padre mi chiese:
Vuoi continuare a studiare??? o lavorare,non avevo nessun dubbio lavorare mi piaceva di più era più…..bello ……mi sentivo importante.
Coloro che lavoravano con me erano 3 persone,di cui un addetto ad infornare e cuocere ed impastare,uno a foggiare il pane,ed uno che lo distribuiva nelle succursali.
Siccome giovane di età io cominciavo alle tre e mezza mentre loro alle 2 di notte non c’era riposo settimanale l’attività chiudeva 4 giorni all’anno i giorni legati alle festività più importanti Pasqua ,Natale ,Capodanno,ferragosto ma si faceva il pane doppio il giorno prima, insomma si recuperava in parte il lavoro. A Natale si facevano i panettoni e così dopo il pane si cuocevano ci voleva il forno “più basso” insomma non si andava a casa per il pranzo,mio fratello più grande quando tornava da scuola mia madre gli dava “à mandiià” come dicono ad Alassio  insomma il cibo con i piatti sovrapposti legato da un strofinaccio da cucina, a Milano la chiamano la schiscetta mi pare.
In questa circostanza si vedeva la regionalità, il mio menù era... visto il periodo orecchiette e cime di rapa,e  i miei compagni non gradivano l’odore (lontani erano ancora i tempi della fama di questo piatto che poi  raggiunsero il nord, e pasta au pistu
o au bitiru tradizionale per loro.
Il giovane Leonardo,coadiuvava Paolo a foggiare il pane lui lo passava nella macchina ed io glielo ripassavo,alcune pezzature passavano due volte nella “chifferatrice”una rotolatrice insomma come le biove,e allora si procedeva in quella maniera,invece le rosette tutte rigorosamente tornite a mano 700- 800 panini che poi venivano stampati.
Ma cosa mi attirava di più era quella lunga palina di legno su cui si ponevano i panini che poi con gesto veloce venivano scaricati sul suolo del forno  e dovevano rimanere dritti e non capovolti ecc(quando vedo infornare una pizza rivedo qualcosa,ma di molto più facile di allora) .La palina era lunga circa 4 metri  larga 8 cm di legno di frassino molto sottile e flessibile  e per caricarla poggiava sui cavalletti vicino alla “cantia “dove il pane lievitato giaceva prima di essere cotto.
Il problema era tirare su la palina carica  che fletteva per il peso infilarla nella camera del forno andare fino in fondo scaricare………  non  facile non facile.A volte avendo un pochino di sonno e stanchezza si batteva con la punta sullo spigolo dell’ingresso e tutto il pane cadeva,e allora si che la recita delle preghiere del mattino era vera e ben sentita.
Quel forno aveva una caratteristica aveva la base di cottura circolare ruotava,quindi bisognava infornare con un certo criterio. Sarebbe a dire che la platea era divisa in 4 parti virtuali praticamente si infornava prima 5 o 6 panini poi sempre di più fino a quando si raggiungeva la larghezza massima dello spicchio e poi si incrociava.Un altra importante funzione era a cudetta "valvula" un rubinetto che mandava acqua sopra i tubi caldi del forno e produceva vapore supplementare per dare più lucidità al pane e migliorare la cottura lo dico adesso prima non sapevo nulla.le biove invece cuocevano a valvola aperta senza vapore non dovevano essere lucide.Un altro fatto importanteè cheil forno fosse regolarmente carico per non perdere mai vapore al suo interno,praticamente a pane sfornato ci voleva pane infornato e quindi bisognava regolare i ritmi.
Gigi che era  il fornaio che era il più vecchio della brigata scendeva all’una ad accendere il forno il quale funzionava con i trucioli che le falegnamerie producevano per la lavorazione del legno che venivano raccolti ogni giorno dal porta pane,e poi in tempi successivi da me e su questo argomento ci sarebbe da scrivere parecchio. Con enormi ceste ed un carretto si faceva la raccolta tutti i giorni escluso la domenica e quindi andava approvvigionata la riserva. La maggioranza dei forni “proletari” funzionavano a trucioli e l’accapparamento  a volte era difficile ..gli altri avevano già  i bruciatori a gasolio
Gigi aveva fatto la sfortunata campagna di Russia raccontava sempre delle” Katiuscia Russe” che sibilavano sulla sua testa,e la tremenda ritirata,il freddo sofferto,e la sfortunata storia della sua gioventù . Raccolto da una donna russa fu rifocillato oramai giaceva nella neve privo di forze e alla fine della guerra torno in Italia reduce  da una terribile esperienza salvato dal   nemico…..
E allora senza far vedere al titolare del panificio un giorno disse dai “leonardo “ vieni qui …. prese uno sgabello lo mise sotto i miei piedi e disse prova ad infornare dai.
Non ci potevo credere…  quale soddisfazione avrei potuto provare quello che i “grandi “ sanno fare   lavorare…………
Il risultato: 10 panini rovesciati alcuni perfettamente in linea alcuni rimasti appiccicati
Alla palina…….. Gigi mi guardò e sorrise vedrai… Leonardo che la prossima andrà meglio .Mi sentii incoraggiato ma ancora di più emozionato per la prova di fiducia
Paolo silenzioso faceva la guardia che non entrasse il titolare nel forno che avrebbe sgridato tutta la brigata ,e riprovai questa voglia andò un pochino meglio. E così incominciai ad intraprendere un ruolo vero…..
Più importante e tutto ciò mi faceva sentire “importante” e naturalmente imparai.
Tanto è vero che al primo sciopero che ci  fù feci il “Crumiro” per necessità e  andai a lavorare .
Ad  ..Infornare c’ero io …quel giovane ragazzo che stava crescendo.
Tutto ciò portò anche alla conseguenza  che all’epoca avevo 16 anni che gli impasti i
cosi detti “lieviti  o crescenti che venivano fatti al pomeriggio che “toccavano” al più
giovane di bottega passarono da Paolo a Leonardo e tutti i pomeriggi domeniche incluse impastavo per la mattina ;focaccia,pane all’olio,e biga,qualche volta è capitato di sbagliare  e di non mettere il lievito e al mattino dopo i Santi volavano erano sopra il mio capo……
Ma la cosa che mi piaceva di più di questo lavoro oltre ai miei insegnanti erano le attività “collaterali”.
A Savona dove oggi  c’è la piscina c’era una fabbrica metalmeccanica LA SERVETTAZ BASEVI  ci lavoravano una marea di persone come in altre molteplici fabbriche di cui Savona Industriale era costellata  all’epoca .
Al bordo di questa fabbrica in prossimità del mare c’erano i stabilimenti balneari.
Ma la parte verso la foce del torrente “Letimbro” era occupata da “baracche” in cui la gente abitava sprovvisti di luce ed acqua,un fontanella venne posizionata un paio di anni dopo,e poi fortunatamente tutte queste persone ebbero in dotazione le case popolari dell’IN A  casa a MONGRIFONE  c’erano anche pescatori di origine Siciliana che svolgevano la loro attività di pesca al palamito o parangaro.I Savonesi non svolgevano questo tipo di pesca. E vivevano anche loro sulla spiaggia in queste baracche insomma casa e bottega .  In queste “baracche” sulla spiaggia essendo suo padre pescatore molto molto bravo ci viveva anche Nino il portapane. Questo giovane Siciliano occhi azzurri e capelli biondi ,strettamente Normanna la sua genetica,ma posso dirlo solo oggi che qualcosa ho imparato,fece una tragica fine. Anche lui si era imbarcato come mozzo sulla Emanuela C. la nave che affondò in un fortunale a capo teulada in cui anche mio zio era imbarcato di cui vi ho raccontato in un precedente episodio. Piccolo il mondo neh…… Celebre era la sua “cover” si direbbe oggi del blus del mandriano rido ancora adesso a pensarci,peccato che quel bel ragazzo così gentile e così vivace abbia avuto una fine altrettanto tragica. I Savonesi chiamavano queste nuove  costruzioni di case popolari il villaggio mau mau.
Ebbene i miei compagni di lavoro “au bord de la mer mediterranèe” avevano una
“Baracca” o meglio un “cottage” si direbbe oggi  tanto era carina con i suoi colori pastello. Era  originariamente una cabina di comando tutta in legno di una piccola nave non più di 12 14 mq con tanto di tettoia in canistri, verandina in legno su palafitte di legno sulla spiaggia sotto il ricovero attrezzi della barca con cui si andava a pescare. Un posto bellissimo e affascinante Heminguay ci avrebbe potuto fare uno studio e scrivere tantissime bellissime storie.
Quante bellissime partite a carte d’inverno al gioco dei Tarocchi…..
Ero affascinato da quel posto che all’epoca non aveva nessun riscontro solo un luogo in cui sostare a fare merende,il bagno e quant’altro. I miei genitori sapevano che passavo molto tempo con queste persone ed erano rassicurati ma anche un tantino gelosi del fatto che mi fossi tanto affezionato a loro.
Pochissime persone  frequentavano questo posto in quanto non “omologato” ed il silenzio regnava assoluto,non si era ancora sviluppato il turismo domenicale delle tende della Fiat in vacanza ad Agosto. C’era anche una costruzione dove un maestro d’ascia esercitava il suo sapore .Quelle mani pochi attrezzi  e tanta sapienza facevano nascere bellissimi gozzi. Io sa sempre affascinato del lavoro artigianale sostavo con ammirazione,e vedevo quei legni bianchi piegarsi sopra a quei fuocherelli di “biscaie” come li chiamano in Liguria ,lontani ancora erano i tubi di cottura a vapore dove si mettevano i legni per venire poi piegati.E pezzo dopo pezzo la barca prendeva forma come se nascesse vivesse…e partecipasse ad una vita fatta di tanto azzurro mare dove gli uomini amavano il tempo od un lavoro esercitare. Ebbene in quel luogo per me  incantato dopo il lavoro nel forno andavamo a svolgere diverse attività e d’estate era qualcosa di fantastico …… La pesca con le nasse,la pesca al bolentino,al palamito,e poi la cosa
Più redditizia si fa per dire vista la pochezza delle risorse dell’epoca la raccolta delle cozze o peoci o muscoli.
Nella Via dove il forno svolgeva la sua attività c’era un imprenditore che oltre al negozio di ardesie aveva un ristorante a Spotorno   credo…..non mi ricordo esattamente non ero informato dovevo ascoltare soprattutto..
Avendo saputo che Gigi e un suo amico si immergevano con maschera e boccaglio al tempo non erano molti  che scendevano in apnea ,se poi si considera che era un continuo scendere e salire,e mano a mano che i muscoli scarseggiavano bisognava scendere sempre più giù e poi in definitiva cambiare pilone per raccogliere i muscoli dal pontile dell’ILVA  per poter fare delle muscolate estive,chiese se ne aveva da vendere.
Così d’estate dopo il lavoro verso le undici di mattina mi imbarcavo con loro e “stando sui remi” come si dice in gergo marinaresco  li accompagnavo sul luogo della raccolta e aspettavo. Durante il pomeriggio seduto sul bagnasciuga con un coltello li pulivo dai denti di cane e poi li portavano a questo Signore. Non c'era bisogno di "stabulazione" allora non c'era inquinamento  o "stabularum" come dicevano i Romani ma sarei interessato a capire dal momento che l'inquinamento all'epoca non era presumo in dotazione se lo facessero per avere sempre a disposizione i frutti di mare mantenendoli in acqua salata in piccole pozze che si formavano tra i scogli.Capitava a volte che le catture erano molto limitate e me li donavano come premio “partita” ed io piccolo commerciante andavo dal ristorante le Palme che si trovava vicino al prolungamento di Savona li proponevo allo chef proprietario.
Lo chef un uomo molto gentile di origini Emiliane mi faceva entrare in quella cucina molto linda e piena di profumi e scambiava volentieri qualche parola con me. All’epoca era molto raro che gli adulti si fermassero a parlare con giovani ed io apprezzavo ma apprezzavo molto di più quelle 300 -400 lire che mi dava per i muscoli. Ma a quel tempo mai avrei pensato che quel luogo quegli ambienti mi sarebbero divenuti così famigliari e avrebbero costruito il futuro della mia vita .




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