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domenica 16 aprile 2017

“LA MIA VITA QUARTA PUNTATA”
Andando a letto quella sera…  dentro di me mille domande mi stavo ponendo ..di come  si sarebbe evoluta questa nuova situazione della mia vita .   Mi trovavo giovane e “solo” seppur con tanti giovani compagni,in un ambiente bello pulito ordinato ma di cui non conoscevo nulla e nessuno . Non ci sarebbe stato Gigi con la sua esperienza a consigliarmi,quella “baracca” sul mare le partite a carte le merende. La  meta di tanti bei giorni sembrava oramai lontana,quasi avvolta da quella nebbiolina che i liguri chiamano e precisamente i Genovesi “maccaia”
Poi la stanchezza sopraggiunse a togliermi da ogni imbarazzo e mi addormentai come fanno i bambini .Il mattino dopo di buon ora circa le 6.30 Il dirigente che era anche un  Maitre d’hotel bussava alla porta,e già molti ragazzi erano nelle grandi toilette a  prepararsi come  nei collegi americani dei film che avevo visto .Qualche rasoio tagliava la giovane peluria che su molti volti già compariva altri curavano a punto il loro aspetto con molta meticolosità,il Preside era molto scrupoloso i capelli sempre corti e pettinati a dovere, la cravatta sempre d’obbligo. Raggiunto l’Istituto e l’ultimo piano della scuola dove si trovava la sala ristorante,alcuni allievi spontaneamente erano già in servizio per la prima colazione. Regnava disponibilità cortesia e un ottimo umore. Il caffè latte e tè veniva servito con un paio di croccanti panini e alla domenica  c’era la cioccolata. Il caffè era preparato in cucina dagli chef già in servizio in grandi marmitte,si lasciava depositare l’infusione e veniva mandato in sala in grandi dispenser come i cow boy nei bivacchi all’aria aperta.
Dopo la colazione quella mattina la mia classe era in servizio (pratica operativa)
La quale veniva esercitata tutti i giorni sette giorni su sette se non per il Lunch sicuramente per Dinner.Entrando in cucina non sapevo assolutamente nulla e nessuno era preposto “all’accueil”La conseguenza immediata era che gli allievi che avevano già frequentato il primo anno  si andavano autonomamente a disporre nella loro posizione o “partita”. Per partita nell’organizzazione del lavoro in cucina si intende il “gioco” di un ruolo in un settore ben definito  in questo caso della cucina . Di cui l’organigramma operativo distingue lo chef de cuisine (oggi chiamato executive chef) l’integrazione dei termini anglosassoni ha di seppur poco modificato l’appeal. E poi c’erano i chef di partita o capi partita nel merito lo chef saucier,entremetier,gardemanger,rotisseur,legumier,confiseur,patissier ecc ecc (mancano gli accenti circonflessi perché non li so usare nel pc o meglio non li trovo). La corporazione dei rotisseur appare in Francia nel 1200 circa e la prima corporazione che si avvale di tale termine. Bisogna tener conto che poi tutte queste professioni esercitate autonomamente davano il ruolo di artigiano di cui le botteghe che esercitavano “le mètier de bouche”e altre tipologie affini come confiseur chocolatier ecc…
Tutto questo organigramma operativo e stato ridotto in maniera esorbitante,per vari motivi .Il primo per le modificazioni del lavoro in cucina integrato dal ready food
comperato pronto all’uso,secondo  motivo per la dimensioni delle “case” molto più piccole . Operativamente parlando in economia quello che non si riesce a preparare si compra già preparato. Ciò comporta si un maggior costo ma nello stesso tempo la non necessità di avere personale molto molto preparato o qualificato come si dice oggi . Tanto è vero che si diventava capo partita o chef di partita dopo aver fatto esperienza nei vari settori come commis de cuisine ,e poi avendo acquisito un carico sufficiente di nozioni e aver scelto un settore a cui si sente  più appartenenza o feeling come si dice oggidì. In fine per poter aver un ruolo come chef di cucina bisognava aver percorso tutte le strade che nella cucina erano operative dal pane all’antipasto alle minestre ecc ecc non poco non poco. Un percorso molto molto lungo e non privo di difficoltà dovendo spaziare tra salsa Bechamel et glace alla vanille e non solo… beaucoup beaucoup..
Cambiando la concezione usando “ready food” molti lo chiamano anche “convenience food” queste competenze erano fatte saltare  in blocco e così pure il bagaglio culturale ed operativo che ne faceva  parte.
Questa spiegazione seppur semplificata la posso fare adesso,ma quella mattina  e anche per molto tempo dopo di tutto ciò non sapevo assolutamente nulla. Avevo notato che due chef (di partita) erano posizionati ai due lati del blocco di cottura. Lo chef “capo” nel lato cosi detto adiacente alle celle frigorifere. Lo chef pasticcere aveva un lato tutto suo.
La pulizia delle verdure avveniva a lato del settore  freddo. I tavoli di lavoro vennero “apparecchiati” dagli allievi c’era una cassetta che conteneva spezie sale pepe ecc ecc. Quella del saucier differiva leggermente da quella dell’entremetier. L’entremetier  storicamente era colui che preparava le vivande che si disponevano tra l’antipasto e il dessert da cui il termine “entre le mets” per cui la la definizione semplicistica tra i piatti .Dopo aver dato un occhiata a tutto molto velocemente mi avvicinai così quasi per simpatia al tavolo dello chef saucier,che faceva anche da rotisseur. E altro .in quanto in mancanza di certe figure professionali di appannaggio delle grandi “brigade de cuisine”. Uno chef seppur di partita riuniva dentro di se più competenze di preparazione  e con attenzione scambiò con me qualche parola Era un uomo  molto alto, ordinato e bello nei lineamenti. Gli chef chiedevano ai commis (aiutanti) di prendere del materiale che aveva un nome specifico;un rondò una marmitta,une casserole ecc ecc. Altri allievi andavano in magazzino a prelevare  le merci ordinate la famosa spesa corrente.  Il grave era che questa parte teorica pratica io non la conoscevo,ma l’avrei imparata velocemente,bisognava stare molto attenti e seguire con attenzione cosa accadeva e farne dovuto tesoro altrimenti le imprecazioni sarebbero volate gratuite e spontanee.
Tutto ciò aveva lasciato in me un segno profondo e marcato. Tanto è vero che quando incominciai ad insegnare  dopo molti  anni dedicai molte lezioni alle conoscenze specifiche del’utensileria da cucina e il loro specifico utilizzo.
Schivi nella loro riservatezza e poco propensi divulgare a noi nozioni pur essendo in una scuola non sentivano i nostri “insegnanti” la necessità di divulgare la conoscenza,che sembrava unica e di loro appartenenza. Ma questa secondo il loro modo di pensare sarebbe stata “rubata”o appresa come si fa anche per tante altre cose in cui noi giovani abbiamo fatto da soli o meglio sentendo gli amici più grandi. Bisognava conquistare il sapere.
In termini pratici tutto ciò sarebbe stato più lungo e faticoso  sicuramente .Ma forse ciò che si apprende lentamente  e con fatica rimane più radicalmente nella nostra conoscenza,ma per poterla ampliare ci sarebbe voluto molto esercizio di curiosità al fine di scoprire e poi susseguentemente “conoscere”in quanto esiste sempre quel motto una cosa è il fare un'altra cosa è il saper fare (cit.leonardo nappi).
Era importante altresì fare per me una valutazione in  quale “partita” era il caso di diploi questa circostanza   avrei dovuto giocare e come l’avrei potuta giocare non avendo un coach effettivo . La mia precedente esperienza lavorativa mi aiutava nel muovermi nell’ambito,( denominata da me disciplina o educazione al lavoro) ma senza conoscenze del  merito per raggiungere poi il fine .
Allora pensai di lasciarmi guidare dal carattere che queste figure educative che esercitavano il ruolo di insegnanti potevano darmi……alla mia prima valutazione
Lo chef “saucier” molto bravo molto preparato(in este chef del Grand Hotel des Iles Borromèes qui le stelle c’erano veramente (autru che musse),ma estremamente geloso del suo lavoro che voleva sempre svolgere in prima persona poco propenso a delegare anche se in pur minima parte. Era imbarazzante a volte il suo possesso della professione. Lo  chef che gli stava di fronte lo chef  denominato entremetier che si occupava della preparazione di minestre farinacei legumi ecc era di tutt’altra natura, lui era un uomo massiccio corpulento meno curato nell’aspetto più rustico e spontaneo meno burbero,forse il suo ruolo di addetto ai legumi e entrèe lo faceva assomigliare ai prodotti della terra gentili e fragili nello stesso tempo pieno di umori e sapori a volte delicati che mal si legavano con la sua statura fisica,ma affini alla sua semplicità di uomo… le zuppe le minestre le creme  passate in disuso ella ristorazione  come i contorni “articolati”svolgevano un ruolo molto importante sono rimasti i farinacei e affini ma ristretti al territorio Italiano di cui si vanta una grande specializzazione affine ai nostri gusti e al nostro territorio.
Era strano come è strano che per esempio le uova le prepari l’entremetier, come pure ad esempio le soufllèes aux fromage e i vari condimenti li prepari il saucier e li passi all’entremetier. Come in una partita ognuno giocava un ruolo ben definito che completava la preparazione finale della ricetta a volte più ruoli esercitavano la loro competenza in una preparazione ,in ogni fase veniva dato un valore aggiunto come si dice in economia e la valutazione finale temporale  spettava allo “chef de cuisine” quando il piatto dal “pass” sarebbe stato preso dal cameriere e portato in sala per il suo consumo e a quel punto l’esame lo avrebbe fatto il cliente.
Tutto questo organigramma da me così semplicemente e in forma molto ridotta descritto faceva parte di quell’organizzazione che gli “Enciclopedisti” prima della rivoluzione Francese avevano cominciato a costruire per dare riferimenti e punti fermi ad un lavoro che era più che un lavoro artigianale “UN ORGANIZZAZIONE”
Da cui la frase mètier de bouche.Dobbiamo essere grati ai Francesi per aver ben regolato e descritto quanto avveniva nell’ambito di questo lavoro e nel suo svolgimento .Devo altresì ricordare con l’occasione  che le “tocque”il cappello bianco
Dei cuochi era un segno di distinzione in quanto nei molti ruoli che nella cucina si sviluppavano chi era cuoco era evidenziato dal suo cappello bianco soprattutto nella fase antecedente alla ristorazione di come noi la conosciamo oggi .Nella cucina o meglio dans le grande cuisine chaque assiette à son role sarebbe a dire che ogni preparazione ha un padre che la esercita in modo rigoroso come se fosse un appartenenza dovuta come tale è la sua figura esercitata .
Il Pasticcere se ne stava dentro il suo ambito,e veniva consultato dallo chef solo quando comunicava i dessert che sarebbero stati serviti nei menù successivi. Tutto ciò pur dovendo rendere conto allo chef di cucina gli lasciava un ampio spazio di autonomia e organizzazione del suo lavoro,in sintesi dipendeva ma non dipendeva.
Dopo aver fatto questa analisi breve nella mia mente,cercai una strategia da poter esercitare per poter” vivere” in quell’ambito in maniera meno difficile. Penso che  una cosa si poteva notare che io avevo già un po’ di “lavoro” alle mie spalle. Alcuni allievi del secondo anno da cui quasi inavvertitamente  dipendevo erano simpatici e gioviali alcuni facevano pesare la loro anzianietà  conquistata. Altri invece potevano già vantare un piccolo bagaglio di conoscenze. C’erano naturalmente i “sapientoni teorici” da cui attingere info preziosi ,ma meno preziosi sul lato pratico esecutivo ma pur sempre utili da tener in considerazione tutto serviva tutto poteva servire.In cucina come nella vita non si butta nulla.
Da ciò ne derivava che la ramazza doveva essere esercitata dai nuovi arrivati (uso servizio militare) ,tutto ciò mi lasciava talmente indifferente che alla fine i ragazzi del secondo anno abbandonarono con solerzia nei miei confronti tale atteggiamento,non vedendo dentro di me alcun risentimento per il poco nobile esercizio .Qualche chance a quel punto me la sarei potuta giocare in pasticceria e dentro di me pensai che avrei cominciato a guadagnarmi un ruolo un piccolo merito in quell’ambito e poi nulla mi vietava non di guardare ma “di osservare” come diceva ripetutamente il “Mainardi”(preside)  ciò che in cucina si esercitava.
La gelosia di mestiere le caratteristiche delle persone scavavano a volte tra i componenti addetti all’insegnamento solchi profondi ed immensi. Diverse le conoscenze come pure le competenze e la conseguenza che durante l’esercizio delle preparazioni tutto ciò veniva a galla con grande spessore,e noi ragazzi a far da argine a tanta esuberanza manifestata . Durante l’esercizio della pratica dovevi rimanere nella tua partita altrimenti erano guai se non esercitati…… evidenziati dalla gelosia.
Tutto quando descritto al difficile aggiungeva il difficile,ma per fortuna per me iniziai a fare amicizie nell’ambito dei stranieri che ha scuola in molti di diverse nazionalità erano iscritti,in cui sentivo e sento  una magica attrazione per la lingua che parlavano .Tutto ciò mi sarebbe stato di grande aiuto dicevo a me stesso anche perché nella scuola,tutti i messaggi che passavano dagli  autoparlanti delle  aule erano in Inglese Francese e tedesco e mai in Italiano. Era imbarazzante che ha volte un compagno altoatesino ti parlasse in tedesco in sala ristorante quando era di turno,e tu abituavi il tuo linguaggio ad altri linguaggi.
Il preside amava che noi facessimo una seria e costante abitudine alle lingue straniere per averne una più facile comprensione almeno per le cose più semplici nei momenti di lavoro che erano indispensabili specialmente nei reparti i cui contatti con gli stranieri erano evidenti,per la cucina il Francese era come il pane quotidiano.   Considerato poi che tutto quello che è attinente alla cucina era in francese il motivo aver codificato in maniera eccellente tutto o quasi tutto ragione di più il mio Francese seppur breve e scolastico mi avrebbe aiutato,e l’amicizia con Hervè Tramier pure (pensate siamo ancora in contatto dopo 50 anni )lui ha svolto la sua carriera partendo da sala bar fino a Direttore di grandi compagnie in Grecia e nella Mariott americana. Da lui ho imparato molto moltissimo come prendere appunti come relazionare,come dirigere un compito ecc… Sarebbe bello anche parlare di Peter Lindinger simpatico e scherzoso ragazzo tedesco figlio di albergatori di Bordighera elegantissimo e spassoso poco tedesco tanto italiano nei suoi modi e maniere un grande,e poi Alfonso Jaccarino Napoletano “patron del grande albergo e ristorante a Sant Agata dei due Golfi  a Sorrento famoso oggi  nel mondo ma all’epoca “uno sfaccimm” come lo definivo io uno scansafatiche insomma…
Lo chef Pasticcere Remo Leggeri non era geloso della sua professione…..  era un “uomo di mondo” aveva lavorato in “grandi case” gli piaceva anche godersi un pochino la vita. A lui piaceva se stavo in ruolo con lui ma era tanto gentile da dirmi al mattino stai con me Nappi o vai  di là in cucina e io facevo scelte diverse e mai continue Ma sapevo esattamente che con lui avrei avuto sempre un ruolo nel suo reparto,e come ho detto prima gli altri chef guardavano ed osservavano i spostamenti che noi facevamo e volevano che rimanessimo fedeli diciamo così. L’anno successivo per mè fu tutta un'altra storia che poi vi racconterò .Ma anche lo chef “principale” con il suo Garde manger mi interessava parecchio e incominciando con il pulire le ossa che avevo imparato quando ero dal macellaio “Brunetto”a Savona in Via Nizza e portavo la carne anche a villa Zanelli oggi purtroppo degradata e chiusa io l’avevo vista nel suo magico splendore architettonico e cura ne avevo conosciuto la proprietaria .Pulire le ossa consisteva nel togliere ogni seppur minima quantità di carne che rimaneva dopo la disossatura.
Ma quando arrivava la “mezzena” lo chef era su di” giri” sezionava e separava è più corretto sembrava che la natura avesse già predisposto il lavoro(mi sono molto soffermato su questo principio della natura del mondo) pezzo dopo pezzo e io  a volte  tenevano il pezzo molto grande fermo in modo che lui potesse diciamo così operare  osservavo molto attentamente come erano fatte quelle ossa. Per poterle trovare quasi alla cieca senza fare troppi danni alla carne.
Arrivò il giorno….. quasi su mio invito diciamolo pure.. ma al secondo anno che mi disse staccala pure tu dai Nappi
la spalla e ciò era un “SUCCESSO” un segno di  fiducia visto il valore che la carne aveva a  quei tempi… per me oggi forse non ha nessun senso dire lavora questa carne  ma allora lo aveva eccome se lo aveva tutta la cucina seppur senza far  notare notava. Non mi sono mai neanche rifiutato di andare ad asciugare le pentole,da quella piccola signora che nel piano di sotto le lavava con grande fatica e determinazione,a volte trovavo per lei questo lavoro estremamente faticoso,ma pare che nessuno se ne accorgesse di quanto stava accadendo. Tanto è vero che quasi nessuno mai parlava con lei e voleva andare a svolgere questo umile ruolo  .Si sa nella scala sociale svolgere un lavoro a volte non è sufficiente ma il tipo di lavoro dona prestigio è un modo di pensare su cui a volte merita riflettere.

Al mattino c’erano anche gli allievi esterni ad incrementare la popolazione della cucina e il chiacchiericcio  degli allievi dava un enorme fastidio e lo “chef principale” richiamava pesantemente al silenzio .Il stare zitti non nuoceva e concentrava su quanto avveniva,ma la gioventù e l’esuberanza faceva parte di noi e a voglia di fare qualche battuta e qualche scherzetto pure. In fondo si era una scuola ma noi stavamo vivendo seppur con tutti i limiti la nostra gioventù. Al mattino si passavano praticamente sei ore in pratica e al pomeriggio c’era lezione. Gli insegnanti del pomeriggio cercavano di farci seguire la lezione ma noi dimostravamo stanchezza,e tutte quelle parole facevano da sonnifero se ce ne fosse stato bisogno  . Capitava che “Bassani” un ragazzo molto alto che ha volte ballava il madison in mezzo alla strada a Stresa ascoltando la musica del jukebox del famoso “GIGI BAR” NOSTRA UNICA META DI DIVERTIMENTO  di Piacenza molto simpatico dormisse sotto gli occhiali e il prof lo svegliasse con botte sul banco e le immancabili risate che seguivano,ma il prof sapeva benissimo che seppur giovani avevamo già maturato un bel po’ di stanchezza giornaliera . Ma a Stresa sconti non ne facevano il tempo era sempre poco da cui il motto della scuola era il seguente “NON PERDER L”ORA” questa frase la dice tutta su quanto avremmo dovuto imparare e in fretta non ci  sarebbe stato un replay  o un eventuale reset  e nemmeno ci sarebbe stato tempo per un eventuale recupero. Come nella vita il tempo non aspetta e passa con il limite che la nostra vita ci concede

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