“LA MIA VITA QUARTA
PUNTATA”
Andando a
letto quella sera… dentro di me mille
domande mi stavo ponendo ..di come si
sarebbe evoluta questa nuova situazione della mia vita . Mi trovavo giovane e “solo” seppur con tanti
giovani compagni,in un ambiente bello pulito e ordinato ma di cui non conoscevo
quasi nulla e nessuno . Non ci sarebbe
stato Gigi con la sua esperienza a consigliarmi,quella “baracca” sul mare le
partite a carte le merende,i muscoli da pulire e gustare anche a volte
aperti su una lamiera con sotto il fuoco
sulla spiaggia. La meta di tanti bei
giorni sembrava oramai lontana,quasi avvolta da quella nebbiolina che i liguri
chiamano e precisamente i Genovesi “maccaia”
Poi la
stanchezza sopraggiunse a togliermi da ogni imbarazzo e mi addormentai come
fanno i bambini .Il mattino dopo di buon ora circa le 6.30 Il dirigente che era
anche un Maitre d’hotel bussava alla
porta,e già molti ragazzi erano nelle grandi toilette a prepararsi come nei collegi americani dei film che avevo visto
.Qualche rasoio tagliava la giovane peluria che su molti volti già compariva
altri curavano a punto il loro aspetto con molta meticolosità,il Preside era
molto scrupoloso i capelli sempre corti e pettinati a dovere, la cravatta
sempre d’obbligo. Raggiunto l’Istituto e l’ultimo piano della scuola dove si
trovava la sala ristorante,alcuni allievi spontaneamente erano già in servizio
per la prima colazione. Regnava disponibilità cortesia e un ottimo umore. Il
caffè latte e tè veniva servito con un paio di croccanti panini e alla domenica
c’era la cioccolata. Il caffè era
preparato in cucina dagli chef già in servizio in grandi marmitte,si lasciava
depositare l’infusione e veniva mandato in sala in grandi dispenser come i cow
boy nei bivacchi all’aria aperta.
Dopo la
colazione quella mattina la mia classe era in servizio (pratica operativa)
La quale
veniva esercitata tutti i giorni sette giorni su sette se non per il Lunch
sicuramente per Dinner.Entrando in cucina non sapevo assolutamente nulla e
nessuno era preposto “all’accueil”La conseguenza immediata era che gli allievi
che avevano già frequentato il primo anno si andavano autonomamente a disporre nella
loro posizione o “partita”. Per partita nell’organizzazione del lavoro in
cucina si intende il “gioco” di un ruolo in un settore ben definito in questo caso della cucina . Di cui
l’organigramma operativo distingue lo chef de cuisine (oggi chiamato executive
chef) l’integrazione dei termini anglosassoni ha di seppur poco modificato
l’appeal. E poi c’erano i chef di partita o capi partita nel merito lo chef
saucier,entremetier,gardemanger,rotisseur,legumier,confiseur,patissier ecc ecc
(mancano gli accenti circonflessi perché non li so usare nel pc o meglio non li
trovo). La corporazione dei rotisseur appare in Francia nel 1200 circa e la
prima corporazione che si avvale di tale termine. Bisogna tener conto che poi
tutte queste professioni esercitate autonomamente davano il ruolo di artigiano
di cui le botteghe che esercitavano “le mètier de bouche”e altre tipologie
affini come confiseur chocolatier ecc…
Tutto questo
organigramma operativo e stato ridotto in maniera esorbitante,per vari motivi .Il
primo per le modificazioni del lavoro in cucina integrato dal ready food
comperato
pronto all’uso,secondo motivo per la
dimensioni delle “case” molto più piccole . Operativamente parlando in economia
quello che non si riesce a preparare si compra già preparato. Ciò comporta si
un maggior costo ma nello stesso tempo la non necessità di avere personale
molto molto preparato o qualificato come si dice oggi . Tanto è vero che si
diventava capo partita o chef di partita dopo aver fatto esperienza nei vari
settori come commis de cuisine ,e poi avendo acquisito un carico sufficiente di
nozioni e aver scelto un settore a cui si sente più appartenenza o feeling come si dice oggidì.
In fine per poter aver un ruolo come chef di cucina bisognava aver percorso
tutte le strade che nella cucina erano operative dal pane all’antipasto alle
minestre ecc ecc non poco non poco. Un percorso molto molto lungo e non privo
di difficoltà dovendo spaziare tra salsa Bechamel et glace alla vanille e non
solo… beaucoup beaucoup..
Cambiando la
concezione usando “ready food” molti lo chiamano anche “convenience food”
queste competenze erano fatte saltare in
blocco e così pure il bagaglio culturale ed operativo che ne faceva parte.
Questa
spiegazione seppur semplificata la posso fare adesso,ma quella mattina e anche per molto tempo dopo di tutto ciò non
sapevo assolutamente nulla. Avevo notato che due chef (di partita) erano
posizionati ai due lati del blocco di cottura. Lo chef “capo” nel lato cosi
detto adiacente alle celle frigorifere. Lo chef pasticcere aveva un lato tutto
suo.
La pulizia
delle verdure avveniva a lato del settore freddo. I tavoli di lavoro vennero
“apparecchiati” dagli allievi c’era una cassetta che conteneva spezie sale pepe
ecc ecc. Quella del saucier differiva leggermente da quella dell’entremetier.
L’entremetier storicamente era colui che
preparava le vivande che si disponevano tra l’antipasto e il dessert da cui il
termine “entre le mets” per cui la definizione semplicistica è tra i piatti(oggi
volgarmente lo chiamano quello che fa i primi,come se il menù fosse un ordine
di arrivo di una corsa)ma ne parlero più tecnicamente più avanti .Dopo aver
dato un occhiata a tutto molto velocemente mi avvicinai così ,quasi per
simpatia al tavolo dello chef saucier,che faceva anche da rotisseur e altro in quanto in mancanza di certe figure
professionali di appannaggio delle grandi “brigade de cuisine”. Uno chef seppur
di partita riuniva dentro di se più competenze di preparazione ,e con attenzione scambiò con me qualche
parola. Era un uomo molto alto, ordinato
e bello nei lineamenti rigorosamente vestito con la sua divisa impeccabile . Gli
chef chiedevano ai commis (aiutanti) di prendere del materiale che aveva un
nome specifico;un rondò una marmitta,une casserole ecc ecc. Altri allievi andavano
in magazzino a prelevare le merci
ordinate la famosa spesa corrente giornaliera . Il grave era che questa parte teorica pratica
io non la conoscevo,ma l’avrei imparata velocemente,bisognava stare molto
attenti e seguire con attenzione cosa accadeva e farne dovuto tesoro altrimenti
le imprecazioni sarebbero volate gratuite e spontanee.
Tutto ciò
aveva lasciato in me un segno profondo e marcato. Tanto è vero che quando
incominciai ad insegnare dopo molti anni dedicai molte lezioni alle conoscenze
specifiche del’utensileria e materiali da cucina e il loro specifico utilizzo.
Schivi nella
loro riservatezza e poco propensi divulgare a noi nozioni pur essendo in una
scuola non sentivano i nostri “insegnanti” la necessità di divulgare la
conoscenza,che sembrava unica e di loro appartenenza. Ma questa secondo il loro
modo di pensare sarebbe stata “rubata”o appresa come si fa anche per tante
altre cose in cui noi giovani abbiamo fatto da soli o meglio sentendo gli amici
più grandi. Bisognava conquistare il sapere.
In termini
pratici tutto ciò sarebbe stato più lungo e faticoso sicuramente .Ma forse ciò che si apprende
lentamente e con fatica rimane più
radicalmente nella nostra conoscenza,ma per poterla ampliare ci sarebbe voluto
molto esercizio di curiosità al fine di scoprire e poi susseguentemente
“conoscere”in quanto esiste sempre quel motto una cosa è il fare un'altra cosa
è il saper fare (cit.leonardo nappi).
Era
importante altresì fare per me una valutazione in quale “partita” era il caso di dirlo in questa
circostanza avrei dovuto giocare e come l’avrei potuta
giocare non avendo un “coach effettivo” . La mia precedente esperienza
lavorativa mi aiutava nel muovermi nell’ambito,( denominata da me disciplina o
educazione al lavoro) ma senza conoscenze del merito per raggiungere poi il fine .
Allora
pensai di lasciarmi guidare dal carattere che queste figure educative che
esercitavano il ruolo di insegnanti potevano darmi…… alla mia prima valutazione
Lo chef
“saucier” molto bravo molto preparato(in estate chef del Grand Hotel des Iles
Borromèes qui le stelle c’erano veramente (autru che musse),ma estremamente
geloso del suo lavoro che voleva sempre svolgere in prima persona poco propenso
a delegare anche se in pur minima parte. Era imbarazzante a volte il suo
possesso della professione. Lo chef che
gli stava di fronte lo chef denominato
entremetier che si occupava della preparazione di minestre farinacei legumi ecc
era di tutt’altra natura. Lui era un uomo massiccio corpulento meno curato
nell’aspetto più rustico e spontaneo meno burbero,forse il suo ruolo di addetto
ai legumi e entrèe lo faceva assomigliare ai prodotti della terra gentili e fragili
nello stesso tempo pieni di umori e
sapori a volte delicati che mal si legavano con la sua statura fisica,ma affini
alla sua semplicità di uomo… le zuppe,
le minestre, le creme oramai purtroppo passate in disuso ella ristorazione come i contorni “articolati”svolgevano un
ruolo molto importante. Sono rimasti i farinacei e affini ma ristretti al
territorio Italiano di cui si vanta una grande specializzazione affine ai nostri
gusti e al nostro territorio,molto apprezzata anche all’estero.
Era strano
come è strano che per esempio le uova le prepari l’entremetier, come pure ad
esempio le soufllèes aux fromage e i vari condimenti li prepari il saucier e li
passi all’entremetier. Come in una partita ognuno giocava un ruolo ben definito
che completava la preparazione finale della ricetta a volte più ruoli
esercitavano la loro competenza in una preparazione ,in ogni fase veniva dato
un valore aggiunto come si dice in economia e la valutazione finale temporale spettava allo “chef de cuisine” quando il
piatto dal “pass” sarebbe stato preso dal cameriere e portato in sala per il
suo consumo e a quel punto l’esame lo avrebbe fatto il cliente classificato
come “estremo giudice”della preparazione culinaria.
Tutto questo
organigramma da me così semplicemente e in forma molto ridotta descritto faceva
parte di quell’organizzazione che gli “Enciclopedisti” prima della rivoluzione
Francese avevano cominciato a costruire per dare riferimenti e punti fermi ad
un lavoro che era più che un lavoro artigianale “UN ORGANIZZAZIONE”
Da cui la
frase mètier de bouche.Dobbiamo essere grati ai Francesi per aver ben regolato
e descritto quanto avveniva nell’ambito di questo lavoro ,e non solo e nel suo
svolgimento codificando meticolosamente il tutto .Devo altresì ricordare con
l’occasione che le “tocque”il cappello
bianco
Dei cuochi
era un segno di distinzione in quanto nei molti ruoli svolti da molte persone che nelle antiche
cucine presso nobili o titolate casate che in cucina si sviluppavano chi era cuoco era
evidenziato dal suo cappello bianco soprattutto nella fase antecedente alla
ristorazione di come noi la conosciamo oggi .Nella cucina o meglio dans le
grande cuisine chaque assiette à son role sarebbe a dire che ogni preparazione
ha un padre,un ruolo che lo esercita in modo rigoroso come se fosse un
appartenenza dovuta come tale è la sua figura esercitata,nell’ambito del menù .
Il
Pasticcere se ne stava dentro il suo spazio esecutivo,e veniva consultato dallo
chef solo quando comunicava i dessert che sarebbero stati serviti nei menù successivi,resta
chiaro che tutto ciò che veniva preparato era il menù che tutti gli allievi
avrebbero mangiato durante la loro permanenza in istituto,senza considerare poi
i banchetti frequenti ed importanti. Tutto ciò pur dovendo rendere conto allo
chef di cucina gli lasciava un ampio spazio di autonomia e organizzazione del
suo lavoro,in sintesi dipendeva ma non dipendeva.
Dopo aver
fatto questa analisi breve nella mia mente,cercai una strategia da poter
esercitare per poter” vivere” in quell’ambito in maniera meno difficile. Penso
che una cosa si poteva notare che io
avevo già un po’ di “lavoro” alle mie spalle. Alcuni allievi del secondo anno da
cui quasi inavvertitamente dipendevo
erano simpatici e gioviali alcuni facevano pesare la loro anzianietà conquistata. Altri invece potevano già
vantare un piccolo bagaglio di conoscenze. C’erano naturalmente i “sapientoni
teorici” da cui attingere info, preziosi ,ma meno preziosi sul lato pratico
esecutivo ma pur sempre utili da tener in considerazione tutto serviva tutto
poteva servire. In cucina come nella vita non si butta nulla.
Da ciò ne
derivava che la ramazza doveva essere esercitata dai nuovi arrivati (uso
servizio militare) ,tutto ciò mi lasciava talmente indifferente che alla fine i
ragazzi del secondo anno abbandonarono con solerzia nei miei confronti tale
atteggiamento,non vedendo dentro di me alcun risentimento per il poco nobile
esercizio .Qualche chance a quel punto me la sarei potuta giocare in
pasticceria,considerato che di farina ne avevo impastata tanta, e dentro di me
pensai che avrei cominciato a guadagnarmi un ruolo, un piccolo merito in
quell’ambito e poi nulla mi vietava non di guardare ma “di osservare” come
diceva ripetutamente il “Mainardi”(preside) ciò che in cucina si esercitava.
La gelosia
di mestiere le caratteristiche delle persone scavavano a volte tra i componenti
addetti all’insegnamento solchi profondi ed immensi. Diverse le conoscenze come
pure le competenze e la conseguenza che durante l’esercizio delle preparazioni
tutto ciò veniva a galla con grande spessore,e noi ragazzi a far da argine a
tanta esuberanza manifestata . Durante l’esercizio della pratica dovevi rimanere
nella tua partita altrimenti erano guai se non esercitati…… evidenziati dalla
gelosia.
Brevemente
se stavi in una partita dovevi rimanerci e giocare. Tutto quando descritto al
difficile aggiungeva il difficile,ma per fortuna per me iniziai a fare amicizie
nell’ambito dei stranieri che a scuola in molti e di diverse nazionalità erano
iscritti,in cui sentivo e sento una
magica attrazione per la lingua che parlavano. Tutto ciò mi sarebbe stato di
grande aiuto dicevo a me stesso. Anche perché nella scuola,tutti i messaggi che
passavano dagli autoparlanti delle aule erano in Inglese Francese e tedesco e
mai in Italiano. Era imbarazzante che ha volte un compagno altoatesino ti
parlasse in tedesco in sala ristorante quando era di turno,e tu abituavi il tuo
linguaggio ad altri linguaggi a volte.
Il preside
amava che noi facessimo una seria e costante abitudine alle lingue straniere
per averne una più facile comprensione almeno per le cose più semplici nei
momenti di lavoro che erano indispensabili specialmente nei reparti i cui
contatti con gli stranieri erano evidenti. Per la cucina il Francese ,era come
il pane quotidiano. Considerato poi che
tutto quello che è attinente alla cucina era in francese il motivo: aver
codificato in maniera eccellente tutto o quasi tutto ragione di più era che il mio Francese seppur breve e scolastico mi
avrebbe aiutato,e l’amicizia con Hervè Tramier pure (pensate siamo ancora in
contatto dopo 50 anni )lui ha svolto la sua carriera partendo da sala bar fino
a Direttore di grandi compagnie Alberghiere in Grecia e nella Mariott americana. Da lui ho
imparato molto moltissimo come prendere appunti come relazionare,come dirigere
un compito ecc… Sarebbe bello anche parlare di Peter Lindinger simpatico e scherzoso
ragazzo tedesco figlio di albergatori di Bordighera elegantissimo e spassoso
poco tedesco tanto italiano nei suoi modi e maniere un grande,e poi Alfonso
Jaccarino Napoletano “patron del grande albergo e ristorante a Sant Agata dei
due Golfi a Sorrento famoso oggi nel mondo ma all’epoca “uno sfaccimm” come lo
definivo io uno scansafatiche insomma…
Lo chef
Pasticcere Remo Leggeri non era geloso della sua professione….. era un “uomo di mondo” aveva lavorato in
“grandi case” gli piaceva anche godersi un pochino la vita. A lui piaceva se
stavo in ruolo con lui ma era tanto gentile da dirmi al mattino stai con me
Nappi o vai di là in cucina e io facevo
scelte diverse e mai continue Ma sapevo esattamente che con lui avrei avuto
sempre un ruolo nel suo reparto,e come ho detto prima gli altri chef guardavano
ed osservavano i spostamenti che noi facevamo e volevano che rimanessimo fedeli
diciamo così. L’anno successivo per me fu tutta un'altra storia che poi vi racconterò,
dello chef pasticcere pure,era molto bravo adoperava tecniche per mai viste per
quelo che ne sapevo io veramente poco anzi quasi nulla .Ma anche lo chef
“principale” con il suo Garde manger mi interessava parecchio e incominciando
con il pulire le ossa che avevo imparato quando ero dal macellaio “Brunetto”a
Savona in Via Nizza a fare il garzo netto o garzunetto come si dice in
dialetto, e portavo la carne anche a villa Zanelli oggi purtroppo degradata e
chiusa io l’avevo vista nel suo magico splendore architettonico e cura ne avevo
conosciuto anche la proprietaria una
Signora magra ed esile molto gentile ed elegante,non ricordo che titolo
nobiliare avesse .Pulire le ossa consisteva nel togliere ogni seppur minima
quantità di carne che rimaneva dopo la disossatura.
Ma quando
arrivava la “mezzena” lo chef era su di” giri” sezionava e separava è più
corretto dire …. sembrava che la natura avesse già predisposto il lavoro(mi
sono molto soffermato su questo principio della “natura” del mondo) pezzo dopo
pezzo e io a volte tenevano il pezzo molto grande fermo in modo
che lui potesse diciamo così operare osservavo molto attentamente come erano fatte
quelle ossa. Per poterle trovare quasi alla cieca senza fare troppi danni alla
carne dando dei fendenti con il coltello.
Arrivò il
giorno….. quasi su mio invito diciamolo
pure.. ma al secondo anno che mi disse staccala pure tu la spalla dai Nappi.
E ciò era un “SUCCESSO” un segno di fiducia visto il valore che la carne aveva a quei tempi… per me oggi forse non ha nessun
senso dire lavora questa carne ma allora
lo aveva eccome se lo aveva tutta la cucina seppur senza far notare notava. Non mi sono mai neanche
rifiutato di andare ad asciugare le pentole,da quella piccola signora che nel
piano di sotto le lavava con grande fatica e determinazione,a volte trovavo per
lei questo lavoro estremamente faticoso,ma pare che nessuno se ne accorgesse di
quanto stava accadendo. Tanto è vero che quasi nessuno mai parlava con lei e
voleva andare a svolgere questo umile ruolo .Si sa nella scala sociale svolgere un lavoro
a volte non è sufficiente ma il tipo di lavoro dona prestigio è un modo di
pensare su cui a volte merita riflettere.
Al mattino
c’erano anche gli allievi esterni ad incrementare la popolazione della cucina e
il chiacchiericcio degli allievi dava un
enorme fastidio e lo “chef principale” richiamava pesantemente al silenzio .Il
stare zitti non nuoceva era propedeutico e concentrava su quanto avveniva,ma la gioventù
e l’esuberanza faceva parte di noi e a voglia di fare qualche battuta e qualche
scherzetto pure. In fondo si era una scuola ma noi stavamo vivendo seppur con
tutti i limiti la nostra gioventù. Al mattino si passavano praticamente sei ore
in pratica e al pomeriggio c’era lezione. Gli insegnanti del pomeriggio
cercavano di farci seguire la lezione ma noi dimostravamo stanchezza,e tutte
quelle parole facevano da sonnifero se ce ne fosse stato bisogno . Capitava che “Bassani” un ragazzo molto
alto che ha volte ballava l’hully gully in mezzo alla strada a Stresa ascoltando la
musica che proveniva dal jukebox del
famoso “GIGI BAR” NOSTRA UNICA META DI DIVERTIMENTO di Piacenza molto simpatico ,un pochino
esibizionista dormisse sotto gli occhiali e il prof lo svegliasse con botte sul
banco e le immancabili risate che seguivano,ma il prof sapeva benissimo che
seppur giovani avevamo già maturato un bel po’ di stanchezza giornaliera .Alla
sera dopo le ore 20 un po’ di relax nello chalet oggi adibito ad aule c’era il
biliardo,con Ungaro un napoletano sempre vestito impeccabilmente di scuro
seguiva le lezioni di portineria,grandi partite a stecca. Il biliardo lo avevo
giocato un pochino quando lavoravo nel forno in Via Giacchero. Nella piazza
dell’ospedale a savona chiamata anche a “ciazza du cillo” c’era il caffè
Euterpe (oggi c’è una pizzeria e ci lavora una mia allieva)insomma una
“cantina” con caffè mescita di vino
qualche panino con il salame e a disposizione pagando il tempo che si adoperava realmente 4 biliardi.
Giocavo a stecca mi piaceva quel gioco in cui dovevi immancabilmente ragionare
in quanto il tuo avversario ti metteva sempre in condizioni di non poter
“vedere la palla” per colpirla allora ci dovevi arrivare per angolazioni
insomma in poche parole ci dovevi pensare e parecchio pure a volte. Poco più in
là un gruppo di allievi con l’aiuto di un giradischi facevano suonare “hey hey
paula” lo scopo era duplice sentire la musica
e scrivere correttamente le parole sfalzate a volte
per l’acustica specialmente le vocali dal modo di cantare. Gli
“stranieri” di inglese ne sapevano di più
specialmente i greci,e così sentendo risentendo si arrivava a scrivere
tutto il testo per poter fare una specie di karaoke che ancora non esisteva. Il
giorno dopo il prof di madrelingua confermava e correggeva,era favorita questa
pratica piaceva ai prof..univa l’utile al dilettevole Ma a Stresa sconti non ne
facevano, il tempo era sempre poco da cui il motto della scuola era il seguente
“NON PERDER L”ORA” questa frase la dice tutta su quanto avremmo dovuto imparare
e in fretta il turismo eravamo nel 1962 “era esploso” velocemente. Tantissime
strutture alberghiere erano nate come i funghi .Fiumi di stranieri invadevano
con immenso piacere “il bel paese” gli Italiani piacevano per il loro modo di
accogliere ,il nostro cibo era top,dei
luoghi fantastici che abbiamo non ne parliamo….. Insomma fuori ci aspettavano mancavano tantissimi
addetti qualificati e pronti ad intraprendere lavori “nuovi” non ci sarebbe stato un replay o un eventuale reset e nemmeno ci sarebbe stato tempo per un
eventuale recupero. Come nella vita il tempo non aspetta e passa con il limite
che la nostra vita ci concede.
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